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Cass Sez. 1, Sentenza n. 45603 del 14/12/2010

Sentenza relativa a imputato minorenne emessa dal Tribunale Ordinario. Inesistenza. Insussistenza

Cass Sez. 1, Sentenza n. 45603 del 14/12/2010 Cc.  (dep. 29/12/2010 ) Rv. 249354

Presidente: Chieffi S.  Estensore: Cassano M.  Relatore: Cassano M.  Imputato: Di Rocco. P.M. Iacoviello FM. (Diff.)

Non può dirsi inesistente la sentenza di condanna pronunciata dal tribunale ordinario per fatti commessi da un soggetto all'epoca degli stessi minorenne, perché la sentenza è inesistente quando è emessa da un soggetto estraneo all'ordinamento giudiziario.

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) \D. R. G. \ N. IL *09/10/1984*;

avverso l’ordinanza n. 356/2009 TRIB. SEZ. DIST. di GIULIANOVA, del 08/07/2009;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA CASSANO;

lette le conclusioni del PG Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

  1. L’8 luglio 2009 il Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Giulianova, in parziale accoglimento dell’istanza presentata da \GDR\, volta ad ottenere la revoca, ai sensi dell’art. 669 cod. proc. pen., della sentenza emessa il 5 luglio 2006 dal locale Tribunale (irrevocabile il 16 ottobre 2008), concernente i medesimi fatti oggetto della sentenza di assoluzione pronunziata il 14 giugno 2006 dal Tribunale per i minorenni dell’Aquila, revocava la sentenza del Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Giulianova, in data 5 luglio 2006, limitatamente all’accertamento della penale responsabilità dell’imputata quanto ai fatti di tentato furto in abitazione aggravato posti in essere ai danni di \SP\, \AR\, \BR\. Per l’effetto rideterminava in due mesi di reclusione e trecento/00 Euro di multa la pena irrogata con la suddetta sentenza in relazione all’episodio di furto aggravato in abitazione in danno di \GR\ in ordine al quale permaneva l’intangibilità del giudicato.
  2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, \GDR\, la quale lamenta violazione dell’art. 669 cod. proc. pen. per inosservanza del principio del ne bis in idem, nonchè inesistenza della sentenza emessa dal Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Giulianova nei confronti di imputata minorenne.

OSSERVA IN DIRITTO

Il ricorso non è fondato.

  1. Relativamente alla prima doglianza, il Collegio osserva quanto segue. Il principio del ne bis in idem permea l’intero ordinamento giuridico e fonda il preciso divieto di reiterazione dei procedimenti e delle decisioni sull’identica regiudicanda, in sintonia con le esigenze di razionalità e di funzionalità connaturate al sistema. A tale divieto va, pertanto, attribuito, il ruolo di principio generale dell’ordinamento dal quale, a norma del secondo comma dell’art. 12 preleggi, il giudice non puo’ prescindere quale necessario referente dell’interpretazione logico - sistematica. La matrice del divieto del ne bis in idem deve essere identificata nella categoria della preclusione processuale che, ancor prima di esplicarsi quale limite estremo segnato dal giudicato, assolve la funzione di scandire i singoli passaggi della progressione del processo e di regolare i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri delle parti e del giudice, dai quali quello sviluppo dipende, con la conseguenza che essa rappresenta il presidio apprestato dall’ordinamento per assicurare la funzionalità del processo in relazione alle sue peculiari conformazioni risultanti dalle scelte del legislatore.
  2. Il principio del ne bis in idem, è, quindi, finalizzato ad evitare che per lo "stesso fatto" - inteso, ai fini della preclusione connessa al predetto principio, come corrispondenza storico - naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi del reato (condotta, evento, nesso casuale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona, (Cass., Sez. Un., 28 giugno 2005, n. 34655, rv. 231799; Cass., Sez. 1^, 21 aprile 2006, n. 19787, rv. 234176; Cass., Sez. 2^, 18 aprile 2008, n. 21035, rv. 240106) - si svolgano piu’ procedimenti e si adottino piu’ provvedimenti anche non irrevocabili, l’uno indipendentemente dall’altro, e trova la sua espressione in rapporto alle diverse scansioni procedimentali disegnate dal legislatore. In primis l’art. 28 c.p.p. appresta il rimedio atto a risolvere le ipotesi di litispendenza risultanti dalla simultanea instaurazione dinanzi a giudici diversi di due processi contro la stessa persona per il medesimo fatto, dato che la contemporanea cognizione dell’identica regiudicanda ad opera di giudici differenti, uno dei quali è certamente incompetente, integra un conflitto positivo, risolubile proprio con l’applicazione delle disposizioni dell’art. 28 c.p.p. e segg.. L’art. 649 c.p.p., a sua volta, collega il divieto in questione alla pronuncia di una sentenza o di un decreto penale divenuti irrevocabili, ma, come sottolineato dalla Corte Costituzionale (cfr. sent. n. 27 del 1995, n. 318 del 2001, n. 39 del 2002), ha in realtà una dimensione applicativa piu’ ampia di quella che traspare dall’enunciazione letterale, essendo la disposizione strettamente correlata al principio generale dell’ordinamento processuale che vieta la duplicazione del processo contro la stessa persona per il medesimo fatto (Sez. 3^ 5 aprile 2005, P.G. in proc. Chiarolini; Sez. 6^, 18 novembre 2004, rv. 230760; Sez. 1^, 30 aprile 2003, Morteo, rv. 225004). Coerentemente con tale impostazione le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il seguente principio di diritto: "le situazioni di litispendenza, non riconducibili nell’ambito dei conflitti di competenza di cui all’art. 28 c.p.p., devono essere risolte dichiarando nel secondo processo, pur in mancanza di una sentenza irrevocabile, l’impromovibilità dell’azione penale in applicazione della preclusione fondata sul principio generale del ne bis in idem, semprechè i due processi abbiano ad oggetto il medesimo fatto attribuito alla stessa persona, siano stati instaurati ad iniziativa dello stesso ufficio del pubblico ministero e siano devoluti, anche se in fasi o in gradi diversi, alla cognizione di giudici della stessa sede giudiziaria" (Sez. Un. 28 giugno 2005, n. 34655, rv. 231799). Infine, in fase esecutiva trova applicazione l’art. 669 c.p.p. Primo presupposto per l’operatività di tale disposizione è che vi sia stata una pluralità di sentenze irrevocabili, a prescindere dal fatto che siano state rese o meno nell’ambito distinti procedimenti penali. La disposizione in esame stabilisce, poi, come secondo presupposto, che la molteplicità di pronunce riguardi la stessa persona. La duplicità di condanne sussiste qualora i due giudici, per l’emanazione dei loro provvedimenti, abbiano valutato, ai fini dell’accertamento attribuito all’imputato, lo stesso fatto, inteso (come già in precedenza chiarito) come coincidenza fra tutte le componenti delle concrete fattispecie, considerati non solo nello loro dimensione storico - naturalistica, ma anche in quella giuridica, potendo una medesima condotta violare contemporaneamente piu’ disposizioni di legge (Sez., Un. 28 giugno 2005, rv. 231799). Ne consegue che se il divieto di ne bis in idem viene infranto dal giudice della cognizione e il "secondo processo" è avviato e concluso, il giudice dell’esecuzione è chiamato a intervenire per eliminare la duplicazione dei giudicati ex art. 669 c.p.p. che non sia stato possibile prevenire e impedire mediante gli altri strumenti previsti dal legislatore. In tal caso il favor rei prevale sulla res indicata e, imponendosi come principio guida per il giudice, determina l’applicazione della sentenza che crea una situazione giuridica piu’ vantaggiosa per l’imputato, ogni volta che distinti giudici abbiano reso, in relazione al medesimo fatto e nei confronti della stessa persona, pronunce tra loro inconciliabili, il favor rei si dimostra, in tal caso, criterio tecnico e non soltanto principio ispiratore di carattere eccezionale (Sez. 1^, 23 ottobre 2008, n. 43708; Sez. 2^, 24 settembre 2004, rv. 230708; Sez. Un. 27 ottobre 1999, Dell’Orco; Sez. 6^, 13 ottobre 1995, rv. 202726).
  3. In base alle considerazioni sinora svolte la prima doglianza è manifestamente infondata, in quanto, a fronte del corretto iter argomentativo sviluppato dal giudice dell’esecuzione in ordine alla diversità degli episodi di furto commessi dalla \DR\ in danno di diverse parti offese, non ha in alcun modo specificato le ragioni per le quali, nel caso di specie, si sarebbe in presenza del "medesimo fatto" nel senso in precedenza indicato.
  4. Il secondo motivo di ricorso non è fondato. La sentenza è inesistente come atto di esercizio della giurisdizione, quando essa sia emessa da un soggetto che non rivesta la qualità di giudice e che si sia arrogato i relativi poteri; si deve trattare, in sostanza, di una sentenza emessa a non judice, cioè da un soggetto estraneo all’ordinamento giudiziario (Sez. 2^, 16 marzo 2005, n. 21956; Sez. 6^, 27 settembre 1994, n. 11386). Di conseguenza non puo’ ritenersi inesistente la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale nei confronti di una persona per fatti commessi quando era ancora minorenne. In tal caso la sentenza, pur se nulla per violazione delle regole sulla competenza funzionale - peraltro non rilevata nè eccepita - è suscettibile di passare in giudicato secondo le ordinarie regole di procedura. Alla luce di quanto sinora esposto il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Cosi’ deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2010