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Tribunale per i Minorenni di Bologna, ordinanza 11 novembre 2013

Con la seguente ordinanza il GIP del Tribunale per i Minorenni di Bologna ha sollevato questione di legittimità costituzionale relativamente all'orientamento della Corte di Cassazione che ritiene che il giudizio abbreviato, a seguito di rito immediato, debba essere celebrato dal GIP in composizione monocratica e non dal GUP collegiale

Con la seguente ordinanza il Tribunale per i Minorenni di Bologna ha sollevato questione di legittimità costituzionale relativa alla competenza del GIP monocratico (invece che de del GUP collegiale) a celebrare il rito abbreviato a seguito di rito immediato chiesto dal PM.
Relativamente alla medesima questione la II sezione della Corte di Cassazione con ordinanza 12-18.11.2013 ha investito le sezioni unite della suprema Corte di Cassazione

TRIBUNALE PER I MINORENNI DI BOLOGNA
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI,
Dr. Giuseppe Spadaro, a scioglimento della riserva espressa all’udienza dell’11 novembre 2013, sentite le parti, ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

avente ad OGGETTO: giudizio abbreviato.

IN FATTO

In data 25.01.2010 A.A., nato il 1992, veniva tratto in arresto per i reati di tentata rapina aggravata e porto illegale di coltello descritti in imputazione ed il GIP presso codesto Tribunale per i Minorenni convalidava l’arresto all’udienza del 20.01.2010.
In data 09.02.2010 il P.M.M. avanzava richiesta di giudizio immediato, accolta dal GIP con apposito decreto dell’11.02.2010.
A seguito dell’accoglimento di tale richiesta, veniva disposto il giudizio abbreviato con decreto del 14.04.2010 e successivamente svolto il relativo giudizio, all’udienza dell’08.06.2010, conclusosi con sentenza di condanna ad anni 2 di reclusione ed euro 200,00 di multa.
In data 27.07.2010 il difensore dell’imputato proponeva appello avverso tale sentenza e all’udienza del 20.10.2010 la Corte di Appello di Bologna emetteva ordinanza di sospensione del processo e messa alla prova dell’imputato per la durata di anni 2, ai sensi dell’art. 28 d.P.R. n. 448\88, revocando contemporaneamente la misura cautelare cui il A.A. era ancora sottoposto.
All’udienza del 19.12.2012, la Corte non accoglieva la richiesta del Procuratore Generale di declaratoria di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova e dichiarava la nullità della sentenza di 1° grado.
Avverso tale sentenza, la Procura Generale avanzava ricorso per Cassazione che veniva rigettato dalla Suprema Corte in data 15.07.2013.
Gli atti venivano conseguentemente restituiti al Giudice di prime cure che fissava l’odierna udienza per la rinnovazione del giudizio, ove il P.M.M solleva eccezione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 458 c.p.p..
Questo Giudice ritiene di dovere rimettere gli atti alla Consulta, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 458 c.p.p. e dell’art. 1 comma I d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, in relazione agli artt. 3, 24 e 31 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono l’applicazione delle norme disciplinanti l’udienza preliminare anche con riferimento alla composizione dell’organo giudicante, alla luce del diritto vivente della Suprema Corte (secondo Cass. pen., Sez. IV, 16 settembre 2008, n. 38481: “ai sensi dell'art. 458 c.p.p. - norma generale applicabile in difetto di diversa previsione speciale, ai sensi dell'art. 1, 1° comma, D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, anche nel processo penale a carico di minorenni, - la competenza a celebrare il giudizio abbreviato richiesto dall'imputato dopo la notifica del decreto di giudizio immediato appartiene al giudice per le indagini preliminari”).

In punto di rilevanza e non manifesta infondatezza

OSSERVA

quanto segue:

  1. In punto di rilevanza, la questione è da considerarsi senz’altro rilevante. Dalla risoluzione della quaestio costituzionale, difatti, dipende la composizione dell’organo giudicante penale investito del procedimento (monocratica o collegiale) e, pertanto, la stessa validità della procedura nel suo complesso. In punto di non manifesta infondatezza, la questione non si palesa manifestamente infondata per le ragioni che si andranno di seguito ad esplicitare.
  2. Quanto all’oggetto della questione, trattasi dell’art. 458 c.p.p. e dell’art. 1 comma I d.P.R. 448/1988, nella parte in cui prevedono che, nel giudizio minorile, la composizione dell’organo giudicante sia quella del GIP (monocratica) e non quella del Tribunale per i Minorenni nella composizione collegiale prevista per l'udienza preliminare.
    1. Sempre in punto di ammissibilità della questione, si ritiene che un’interpretazione adeguatrice delle norme sospette di incostituzionalità risulti infruttuosa ed inadeguata alla luce delle seguenti considerazioni. Il giudice a quo è onerato di sperimentare la cd. interpretatio secundum constitutionem (Corte Costituzionale, ordinanza 10.02.2006 n. 57), sussistendo in capo al rimettente “la necessità di motivare sull'impossibilità di interpretare la norma in senso conforme alla Costituzione”(cfr. Corte Cost., 19/10/2001, n. 336 in Giur. Costit., 2001, f. 5; Corte Cost. ord., 21/11/1997, n. 361 in Giur. Costit., 1997, fasc. 6). Questo onere impone pertanto al Giudice di selezionare, tra i diversi significati giuridici astrattamente possibili di una norma, quello che sia più conforme alla Costituzione. Il sospetto di illegittimità costituzionale, infatti, è legittimo solo allorquando nessuno dei significati che è possibile estrapolare dalla disposizione normativa si sottragga alle censure di incostituzionalità (Corte Cost., 12/03/1999, n. 65 in Cons. Stato, 1999, II, 366).
      E tuttavia, se è vero che, in linea di principio, le leggi si dichiarano incostituzionali perché è impossibile darne interpretazioni "secundum Constitutionem" e non in quanto sia possibile darne interpretazioni incostituzionali, è anche vero che esiste un preciso limite all’esperimento del tentativo salvifico della norma a livello ermeneutico: il Giudice non può, infatti, “piegare la disposizione fino a spezzarne il legame con il dato letterale”. Ed in tal senso, di fatto, vi sarebbe il rischio, dinnanzi ad una redazione chiara ed inequivoca di una data norma, di invadere una competenza che al giudice odierno non compete, se non altro perché altri Organi, nell’impalcatura Costituzionale (come l’adita Corte delle Leggi), sono deputati ad espletare talune funzioni ad essi esclusivamente riservate. In sostanza, l’interpretatio secundum constitutionem presuppone, indefettibilmente, che l’interpretazione “altra” sia “possibile”, cioè, praticabile: differentemente, si creerebbe un vulnus alla certezza del diritto poiché, anche dinnanzi a norme “chiare”, ogni giudicante adito potrebbe offrire uno spunto interpretativo diverso.
      Svolte le considerazioni sopra riportate, reputa l’odierno giudicante che il dato normativo non si possa prestare ad interpretazioni diverse da quella emergente dalla mera lettura del testo, se non altro per la interpretazione costante e pacifica (c.d. diritto vivente) che ne ha dato finora la Suprema Corte (v. ad es., Cass. Pen., sez. VI, 5 febbraio 2009 n. 14389 “in tema di procedimento a carico di minorenni, la competenza per il giudizio abbreviato instaurato a seguito di giudizio immediato spetta al giudice delle indagini preliminari e non al tribunale per i minorenni nella composizione prevista per l'udienza preliminare”; oltre alla conforme decisione del 15.07.2013 che ha riguardato il presente procedimento penale).
  3. Introdotta nel rito la questione sollevata, si ritiene che nel merito siano diversi i profili sotto i quali l’art. 458 c.p.p. e l’art. 1 comma I d.P.R. 448/1988 appaiono sospettabili di incostituzionalità.
    Va evidenziato che, nel procedimento penale con imputati minorenni, la delicatezza della materia, la peculiarità delle posizioni giuridiche e dei rapporti oggetto di giurisdizione, hanno fatto sì che il legislatore, in piena armonia con i principi costituzionali vigenti, garantisse al “fanciullo” un giudice minorile specializzato, in cui la previsione della componente collegiale era resa necessaria dall’esigenza di integrare l’organo giudicante con il parere esperto dei giudici laici, tratti dai settori professionali afferenti alle scienze pedagogiche e psicologiche. La scelta della specificità della potestas iudicandi è stata presa dal nostro legislatore al fine di tutelare al meglio i minori che si trovino coinvolti in una vicenda processuale, in quanto categoria di soggetti ritenuti meritevoli di tutela peculiare. Si è trattato di una presa di coscienza importantissima derivata dalla considerazione che la personalità del minore è in continua evoluzione e il processo educativo fino al raggiungimento della maggiore età non è ancora ultimato.
    Questa considerazione ha consentito di colorare la funzione rieducativa dei minori di tratti specifici in quanto, nel processo minorile, già nella stessa fase processuale e ancora più del giudizio e della pena, deve essere predisposto un progetto individuale personalizzato volto alla rieducazione del minore. Non a caso il d.P.R. n. 448/1988 sancisce espressamente che il processo penale minorile “non deve interrompere i processi educativi in atto”.
    Per quanto riguarda i riferimenti costituzionali, l’art. 27 Cost. che al terzo comma codifica il fondamentale principio della finalità rieducativa della pena (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”), non menziona espressamente i minori. Tuttavia, sono state le numerose pronunce della Corte Costituzionale ad evidenziare l’importanza che tutto il sistema della giustizia minorile debba essere improntato in via pressoché esclusiva alla rieducazione, qualificata come “interesse-dovere” dello Stato, ed a cui viene subordinata, addirittura, la stessa pretesa punitiva (sent. n. 49 del 1973). Ancor più esplicita, in tal senso, è Corte Cost. n. 168 del 1994, ove si chiarisce che la funzione rieducativa della pena per i minorenni “è da considerarsi, se non esclusiva, certamente preminente”.
    L’art. 31, comma 2, della Costituzione identifica, tra i compiti affidati allo Stato, la protezione della “maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Proteggere la gioventù nel contesto processuale minorile si traduce, essenzialmente ed ancora una volta, nella necessità di preservare il processo educativo in atto nel minore.
    Da qui la impellente necessità che a giudicare un minore sia il giudice minorile, in composizione collegiale. Parafrasando le direttive ermeneutiche della Corte Costituzionale (ordinanza n. 330 del 2003, emessa nell’ambito di un giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 110 R.D. n. 12/1941 e 2 secondo comma R.D. n. 1579/1934) va ricordato che “le esigenze costituzionali di tutela dei minori risultano soddisfatte dalla peculiare composizione del Tribunale per i minorenni, il cui collegio è formato, oltre che da due magistrati togati, da due cittadini, un uomo e una donna, benemeriti dell’assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia, nonché dall’apporto di altri operatori che ne preparano e fiancheggiano l’attività e dalle specifiche garanzie e modalità procedurali che caratterizzano il procedimento minorile”.
    Il principio che si trae dalla giurisprudenza costituzionale è che le norme procedurali previste per il “processo degli adulti” non possono essere tout court applicate all’imputato di minore d’età (se non a sacrificio della sua dignità e della sua protezione), in quanto il fine ultimo della tutela e della rieducazione del minore va posto al centro dell’attenzione statale fin dal primo momento di ingresso del soggetto minorenne nel circuito processuale.
    Il Tribunale per i Minorenni, come si poteva leggere nella “Relazione del Consiglio superiore della magistratura per il 1971 sullo stato della giustizia”, venne istituito proprio perché si ritenne che il minore, in genere portato al delitto da gravi carenze di personalità dovute a fattori familiari, ambientali e sociali, dovesse essere valutato da giudici specializzati che avessero strumenti tecnici e capacità personali particolari per vagliare adeguatamente la sua personalità al fine di individuare il trattamento rieducativo più appropriato. Proprio a conferma di ciò, venne predisposta sia la particolare struttura del collegio giudicante (composto, accanto ai magistrati togati, da esperti magistrati togati, benemeriti dell’assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia, psicologia), sia l’affiancamento di altri organi e professionalità, quali i servizi sociali, in grado di indirizzare il minore verso il proprio recupero, insieme a tutte le peculiari garanzie che assistono l’imputato minorenne nell’iter processuale davanti al Tribunale per i Minorenni. L’obiettivo era proprio quello di dar vita ad una magistratura specializzata che, per competenze, composizione e formazione, fosse realmente in grado di porsi quale anello di congiunzione tra il legislatore e la comunità civile.
    La stessa Corte costituzionale aveva così potuto inquadrare il tribunale per i minorenni nell’ambito di quella “protezione della gioventù”, che trova fondamento nell’ultimo comma dell’art. 31 Cost.. Il processo minorile, in sostanza, è diventato il primo luogo ed il primo strumento offerto dall’ordinamento ai fini del recupero sociale del minore, con sottoposizione della pretesa punitiva statale alla finalità rieducativa.
    1. Continuando ad attribuire al procedimento ex art. 458 c.p.p. una competenza monocratica del GIP, si finisce per creare una “sacca” di area grigia nella tutela del minore durante il processo penale, in cui vengono meno le garanzie previste dal d.P.R. 448/88 e tutto ciò, peraltro, a fronte di situazioni analoghe (qual è l’udienza preliminare) in cui l’organo giudicante è e resta collegiale. Attualmente esiste, di fatto, un diverso approccio processuale nei confronti del minore, basato su due differenti metri di misura, a fronte di un unico interesse supremo (la rieducazione e la promozione del diritto del minore al migliore sviluppo della personalità) e di una identica situazione soggettiva.
      Il momento processuale in cui interviene la richiesta di essere ammesso al giudizio abbreviato (dopo il decreto di giudizio immediato richiesto dal P.M.M. o in sede di udienza preliminare o, per la messa alla prova, in sede dibattimentale) diventa fattore selettivo rispetto alla possibilità del minore di beneficiare o meno della valutazione degli esperti non togati, garantita in analogo rito ad altri imputati minorenni.
      Il tutto è sicuramente non solo irragionevole, ma anche ampiamente discriminatorio e comunque viola le garanzie di specializzazione che il legislatore, in conformità anche ai principi sanciti nelle principali Convenzioni internazionali (Regole di Pechino, Convenzione O.N.U. del 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, Convenzione di Strasburgo), ha voluto assicurare attraverso le specifiche disposizioni sul processo penale minorile.
      Da qui, conseguentemente, deriva la violazione dell’art. 3 Cost. (quanto a uguaglianza e ragionevolezza), dell’art. 31 Cost. (quanto a tutela del minore) e dell’art. 24 Cost. (quanto a tutela del diritto di difesa).
      Per quanto riguarda il contrasto con l’art. 3, co. 1, Cost., si dà attualmente luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento tra i minori che vengano a trovarsi nella descritta situazione e gli altri minori, autori di reati, che restano sottoposti al giudizio collegiale del tribunale per i minorenni, pur essendo, gli uni come gli altri, su un piano di sicura parità quanto all’esigenza di recupero e reinserimento sociale, maggiormente garantita dal procedimento avanti all’organo specializzato, in composizione collegiale.
      Esiste anche un contrasto con il comma secondo dello stesso art. 3, in quanto il tribunale minorile svolge, come più volte sottolineato, una precisa funzione di garanzia dello sviluppo della personalità dell’adolescente e un’eccezione alla sua generale composizione collegiale finisce per configurarsi come un ostacolo a tale sviluppo.
      Inoltre, vi è violazione dell’art. 31 Cost., essendo l’organo giudiziario minorile, a differenza dal tribunale ordinario, uno degli strumenti di protezione della gioventù costituzionalmente previsti.
      Infine, vi è contrasto anche con l’art. 24, co. 2, Cost., in quanto il minore, per effetto della denunciata norma, si trova dinanzi alla negazione della possibilità di avvalersi, per la sua difesa, delle particolari garanzie offerte dal procedimento innanzi al tribunale per i minorenni, in funzione collegiale.
      Preme sottolineare che la vera specializzazione del giudice minorile è oggi garantita principalmente dalla componente non togata, soprattutto con riferimento alla valutazione della personalità dei minori e alla necessità o meno di irrogare una sanzione penale. In effetti, il legislatore ha optato per una competenza “unitaria” (penale-civile-amministrativa) dell’organo giudiziario minorile essendo possibile, anzi auspicabile, che un minore sottoposto a procedimento penale sia, nell’ambito del medesimo processo penale, anche oggetto di un provvedimento civile o amministrativo: sembra al remittente, che solo la componente privata di tale organo giurisdizionale possa garantire il necessario contributo di natura scientifica, o meglio, che solo l’interazione tra giudice togato e componenti cc.dd. laici, istituzionalizzata nella collegialità dell’autorità deputata ad assumere decisioni in ambito minorile, possa effettivamente assicurarla.
      La decisione di privare un minore di tali garanzie, con sacrificio dell’interesse superiore del fanciullo e derogando così alla tutela e alla realizzazione del preminente interesse dello Stato al reinserimento sociale del minore, necessita di essere sorretta da valide ragioni giustificative, che non si ritengono sussistenti.
  4. Questo giudice, concordemente a quanto asserito dal procuratore generale nel suo ricorso per cassazione, non condivide, infatti, l’orientamento degli Ermellini che fin dal 2008 (Cass. sez. V pen., 16 settembre 2008 n. 38481) ritengono che il giudice delle indagini preliminari del tribunale per i minorenni sia un giudice specializzato, pur nella sua composizione monocratica e, di conseguenza, lo considerano idoneo a giudicare autonomamente e con pienezza di poteri un minore nel giudizio abbreviato.
    La Cassazione motiva la propria convinzione sostenendo che la magistratura togata sia specializzata in ragione delle competenze acquisite da quest’ultima con l’esperienza e la pratica nel settore minorile e tramite la partecipazione ai vari corsi per la formazione e l’aggiornamento dei magistrati. Tale orientamento sembra passibile di censura costituzionale per le ragioni sopra accennate e che qui, di seguito, si intendono meglio illustrare.
    L’indirizzo giurisprudenziale della Suprema Corte sembra a codesto giudice in contrasto con la ratio ed i principi che hanno portato il nostro legislatore, nel 1934, a costituire il giudice del tribunale per i minorenni, la cui principale caratteristica e differenziazione rispetto alla magistratura ordinaria era ed è proprio la composizione collegiale mista. Fin dalla istituzione del tribunale per i minorenni, in sostanza, il sapere giuridico dei giudici togati si è confrontato con quello tecnico dei giudici onorari. Dell’importanza di tale combinazione di saperi si è resa conto l’adita Corte Costituzionale che, nell’ordinanza del 27 ottobre 2003 n. 330, ha difatti affermato che “la specializzazione del giudice minorile è assicurata dalla struttura complessiva di tale organo giudiziario, qualificato dall’apporto degli esperti laici”. Dunque solamente la struttura collegiale e mista dell’organo giudicante assicura la specializzazione del giudice minorile.
  5. Non sembra superfluo, a questo punto, continuare a spendere alcuni cenni storici sulle ragioni della scelta della collegialità mista nei tribunali per i minorenni.
    Innanzitutto, il legislatore, con la legge istitutiva del tribunale per i minorenni nel nostro Paese, dimostrò di essere animato dalla convinzione per cui: “L’inclusione di un componente privato nella formazione del collegio “giudicante” è giustificata dalla considerazione che la funzione giudiziaria nei riguardi dei minorenni deve essere animata da un soffio vivo e palpitante di umanità e nutrita di conoscenza specifica almeno di alcuna delle scienze che più efficacemente contribuiscono alla conoscenza della personalità del minore e di mezzi più idonei per correggerne le deficienze. … Il riconoscimento della utilità della persona scientificamente specializzata nella funzione del giudice minorile spiega la preferenza avuta per il sistema collegiale in luogo di quella del giudice unico, auspicato da una parte della dottrina ed accolto da alcune legislazioni … Elementi giuridici ed elementi scientifici devono concorrere al successo della difficile missione, e non si può affermare, senza rinnegare la realtà, che sia frequente trovare nella stessa persona il possesso di tali elementi. D’altra parte, lo sviluppo dato alle funzioni giuridiche del tribunale, anche nel campo del diritto privato, non consentiva di rinunciare all’intervento del magistrato ordinario (Novelli, 1934)”.
    Innanzitutto, il legislatore, con la legge istitutiva del tribunale per i minorenni nel nostro Paese, dimostrò di essere animato dalla convinzione per cui: “L’inclusione di un componente privato nella formazione del collegio “giudicante” è giustificata dalla considerazione che la funzione giudiziaria nei riguardi dei minorenni deve essere animata da un soffio vivo e palpitante di umanità e nutrita di conoscenza specifica almeno di alcuna delle scienze che più efficacemente contribuiscono alla conoscenza della personalità del minore e di mezzi più idonei per correggerne le deficienze. … Il riconoscimento della utilità della persona scientificamente specializzata nella funzione del giudice minorile spiega la preferenza avuta per il sistema collegiale in luogo di quella del giudice unico, auspicato da una parte della dottrina ed accolto da alcune legislazioni … Elementi giuridici ed elementi scientifici devono concorrere al successo della difficile missione, e non si può affermare, senza rinnegare la realtà, che sia frequente trovare nella stessa persona il possesso di tali elementi. D’altra parte, lo sviluppo dato alle funzioni giuridiche del tribunale, anche nel campo del diritto privato, non consentiva di rinunciare all’intervento del magistrato ordinario (Novelli, 1934)”.
    Il Legislatore diventò pian piano sempre più consapevole del fatto che ogni decisione riguardante l’applicazione di una misura (di protezione e/o di recupero) ad un minore dovesse essere il frutto di una accurata valutazione del “background” affettivo/educativo di quest’ultimo e delle effettive ragioni che lo abbiano portato all’attuale condizione di disattamento sociale. Solo immergendosi, con grande attenzione e sensibilità, nelle difficili dinamiche della crescita minorile, una volta analizzate tutte le variabili del caso specifico, un giudice minorile potrà, alla fine, individuare la misura più adatta a conseguire l’obiettivo primario della rieducazione del minore, facendo uso di quella discrezionalità che solo una persona altamente specializzata (in ambiti che trascendono il puro diritto) può rendere strumento preziosissimo al servizio della tutela dei più piccoli. Due dei tratti caratterizzanti la giurisdizione minorile e che la contraddistinguono nettamente rispetto alla giurisdizione ordinaria, sono proprio la personalizzazione e la flessibilità della potestas iudicandi: è sempre la Corte Costituzionale, con la decisione n. 109 del 1997 (che riprende, in parte, considerazioni già espresse da C. Cost. n. 125/1992), ad esplicitarlo, evidenziando come la protezione della gioventù di cui all’art. 31, co. 2, Cost., coincide con “l’esigenza di specifica individualizzazione e flessibilità del trattamento che l’evolutività della personalità del minore e la preminenza della funzione rieducativa richiedono”.
  6. Tornando alla legge del 25 luglio 1956 n. 888 e al rapporto che l’accompagnava, vi si riconosceva espressamente che le “speciali ricerche” prescritte dall’art. 11 del decreto del 1934 allo scopo di determinare la personalità del minore e le cause della sua condotta irregolare (cioè quelle che già la circolare Orlando del 1908 prescriveva) devono essere effettuate anche dalla componente privata del tribunale per i minorenni, la quale sola, tramite le proprie specifiche competenze, permette un’attendibile osservazione della personalità e delle potenzialità rieducative del minorenne e una maggiore sensibilità verso i disagi che il minore ha vissuto e che sta attualmente vivendo, tra i quali quello di trovarsi seduto in un’aula di udienza in veste di imputato.
    Tutto ciò riconduce ancora una volta alla considerazione del fatto che la peculiare composizione collegiale del giudice minorile, nella sua unitarietà, sia l’unica a garantire una approfondita ricerca, comprensione e valutazione delle ragioni alla base di un comportamento criminoso messo in atto da un minorenne, nonché la previsione delle possibili conseguenze sul piano psichico e sociale e, di conseguenza, l’adozione di misure personalizzate adeguate alle specifiche esigenze del minore.
    Pertanto, a parere dello scrivente, il giudice dei minori non può essere solo un mero giurista con una semplice conoscenza teorico-astratta delle dinamiche di insorgenza del disagio minorile e dei possibili strumenti e metodi in uso per la tutela e il recupero dei minori. Al contrario, deve essere un insieme di persone, altamente qualificate, in grado di osservare e valutare concretamente l’interazione dei molteplici fattori soggettivi e giuridici che renderanno una misura più adatta dell’altra, un metodo educativo più efficace di un altro e, soprattutto, deve essere un collegio specificamente competente per le persone ed i rapporti familiari, chiamato attivamente a partecipare alla realizzazione della personalità dei minori che necessitano di sostegno per le carenze del contesto familiare di naturale appartenenza. In altre parole, si ritiene che solo la stretta collaborazione ed interazione tra le conoscenze giuridiche del giudice togato e le conoscenze scientifiche dei componenti cc.dd. laici, possa portare ad una effettiva tutela del minore tramite l’applicazione di misure rieducative a schema libero, adattabili alle specifiche esigenze del caso di specie.
    E’ di fondamentale importanza che la giustizia minorile sia dotata di una “particolare struttura in quanto è diretta in modo specifico alla ricerca delle forme più adatte per la rieducazione dei minorenni” e tale struttura pone le proprie radici proprio sull’interazione tra giudici togati e laici. Tale principio, è stato ribadito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 222 del 1983, ulteriormente specificato nel 1989 (con la sentenza n. 79) e nel 1996 (con la decisione n. 143).
    La specifica professionalità del giudice minorile togato, cui fa riferimento la Corte di Cassazione per giustificare l’applicazione dell’art. 458 c.p.p., non può quindi che individuarsi ed intendersi esclusivamente nella peculiare capacità dello stesso di relazionarsi con il “sapere altro” proveniente dai giudici onorari, appositamente selezionati attraverso una complessa procedura dal Consiglio Superiore della Magistratura; e non anche nel possedere anch’egli tale competenza, tra l’altro, non di natura giuridica, ma bensì scientifica, non appartenente al patrimonio di conoscenze richieste per accedere all’ordine giudiziario tramite apposito concorso pubblico.
    In questo e solo in ciò può consistere la specializzazione del giudice togato minorile e non in una sua omnicomprensiva scienza che gli consentirebbe di adottare la giusta decisione, anche autonomamente, senza il contributo tecnico e proprio della componente laica. L’intero sistema processuale, ponendo in contatto il giudice togato minorile con i giudici onorari minorili, spinge inevitabilmente il primo ad osservare ogni nuovo caso da una prospettiva diversa, multidisciplinare, e soprattutto a confrontarsi e a focalizzarsi su dettagli spesso trascurati dalla cultura giuridica e che solo i componenti cc.dd. laici possono pienamente decifrare, persino nella fase esecutiva (tant’è che anche il magistrato minorile di sorveglianza svolge le sue funzioni con tale composizione).
    D'altronde, qualora la collegialità “mista” e la specializzazione del giudice onorario non fossero necessarie per “giudicare” un minore in sede di giudizio abbreviato, non si comprenderebbe la loro necessità e, di conseguenza, la loro previsione presso le sezioni per i minorenni delle corti di appello. Si crea, di fatto, una ulteriore discrasia tra un processo minorile di primo grado (il quale, secondo il contestato orientamento giurisprudenziale potrebbe, anzi dovrebbe, essere “affrontato” dal solo giudice togato) ed un eventuale giudizio di secondo grado, vertente sul medesimo fatto-reato a carico del medesimo imputato, ove è invece richiesto l’apporto specialistico e l’indispensabile integrazione del sapere giuridico e del sapere tecnico.
    La norma che prevede, nel giudizio minorile, la composizione monocratica del tribunale per i minorenni in funzione di GIP e non quella collegiale prevista per l'udienza preliminare oltre a non trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, pare in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, quali la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti, la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
    Sembra a questo giudice che l’intero apparato normativo e la stessa Corte adita ritenga prevalente le esigenze trattamentali del minore su ogni altra esigenza e spinga nel senso che il giudice dei minori, in forza della peculiarità delle sue funzioni, non debba presentarsi quale mero “giudice delle sanzioni”, ma piuttosto come il garante e il promotore del diritto del minore ad essere educato e reinserito nella società civile, in particolar modo per quanto riguarda il processo penale minorile. Il minore imputato, infatti, quale soggetto da tutelare in quanto tale, titolare pleno iure di diritti e non più mero oggetto di posizioni giuridiche altrui, ha il diritto di essere valutato alla luce della sua personalità, nonché della sua situazione personale/familiare, prima che lo Stato porti avanti la sua pretesa punitiva, la quale ultima non potrà prescindere dalle suddette considerazioni.
    La protezione del minore, anche quando abbia commesso un reato, è affidata allo Stato, che se ne fa carico, in termini di interesse-dovere al recupero e alla rieducazione, sin dalla fase processuale, attraverso le specificità della giurisdizione minorile. In altre parole, il minore ha il diritto di rivendicare il dettato dell’art. 24 Cost., ad avere, cioè, il proprio giudice naturale: diritto che ha per oggetto proprio la giurisdizione minorile, con tutte le specificità per la stessa predisposte dal legislatore, tra le quali spicca la composizione collegiale dell’organo giudicante.
    1. Ancora, non appare insuperabile l’argomento utilizzato dalla Suprema Corte in ordine all’esclusività delle funzioni giurisdizionali minorili introdotto con la legge 9 marzo 1971 n. 35 “Determinazione delle piante organiche dei magistrati addetti ai tribunali per i minorenni e alle procure della Repubblica presso gli stessi tribunali”.
      Il richiamato disposto normativo sottolinea esclusivamente che il tribunale per i minorenni è diventato un organo autonomo rispetto al tribunale ordinario, del quale prima costituiva una sezione e, pertanto, non fa altro che riconfermare la necessità di una specifica professionalità del giudice minorile e, di conseguenza, di una composizione collegiale che si avvalga del prezioso ed insostituibile contributo dei giudici onorari, esperti di scienze umane e sociali. Di contro, l’applicazione letterale del disposto normativo che si ritiene incostituzionale, propugnata dalla Corte di Appello di Bologna e dalla Corte di Cassazione nel caso de quo, evidentemente stride con quanto sopra asserito. Il GIP minorile svolge indubbiamente un ruolo completamente diverso dal corrispondente giudice presso il tribunale ordinario, dovendo relazionarsi con un imputato minorenne (e non con un adulto) al quale vanno chiarite le proprie responsabilità, illustrato il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza, così come il contenuto e le ragioni etico-sociali delle decisioni, unendo a tutto ciò anche un ruolo di persuasione costruttiva al fine di cercare di evitare la commissione di futuri atteggiamenti contra legem. Di conseguenza, anche il GIP, in sede di giudizio abbreviato ex art. 458 c.p.p., non potrà unicamente fare il portavoce di una generica voluntas legis, ma dovrà, in particolare, farsi garante di un progetto educativo personalizzato che tuteli il minore.
      E’ la stessa Corte delle Leggi che auspica un giudice promotore della “cura” dell’interesse superiore del minore. Quest’ultimo dovrebbe essere un criterio guida per tutte le decisioni prese dal tribunale per i minorenni, anche nell’applicazione di norme processuali ed indipendentemente dall’esistenza di parametri scritti di giudizio.
      E’ lo stesso organo di rilevanza costituzionale, deputato alla formazione professionale della magistratura (togata e onoraria), ad affermare: “Il magistrato minorile … viene sempre più a configurarsi come garante del diritto dei minori alla educazione e alla formazione della loro personalità con funzioni di tutela e di protezione. Egli si sostituisce alla volontà dei genitori e ne integra l’opera. … ha poteri ampiamente discrezionali e di scelta nell’adozione dei suoi provvedimenti, sia per il contenuto che per i modi”. (C.S.M., 1971, p. 492 e ss.) Le osservazioni del Consiglio Superiore si conformano, quindi, alla scelta del legislatore di prevedere una collegialità mista.
      In buona sostanza, è l’intero sistema legislativo a ritenere, in primis, che i magistrati togati non possano giudicare in autonomia un minore e, in secondo luogo e di conseguenza, che il giudice minorile professionale debba essere sempre supportato dagli esperti onorari. Tutte queste considerazioni rimarrebbero, tuttavia, vanificate dalla pedissequa applicazione delle norme processuali tacciate di incostituzionalità.
      Gli stessi lavori preparatori del vigente processo penale minorile, dopo un lungo dibattito sulla composizione monocratica o collegiale del giudice dell’udienza preliminare, hanno fatto prevalere la tesi favorevole alla collegialità mista, peraltro con maggioranza dei giudici onorari sui togati.
      La portata del d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, recante “Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni” ha rivoluzionato il ruolo del tribunale per i minorenni, a cui vengono richieste esplicitamente capacità di comunicazione con i minori e di interazione con i servizi sociali che solo la scelta della collegialità mista garantisce appieno.
    2. Sfugge a questo giudice come e perché la pedissequa interpretazione ed applicazione della norma processuale di cui all’art. 458 c.p.p., norma generale applicabile in difetto di diversa previsione speciale, ai sensi dell'art. 1, 1° comma, D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, anche nel processo penale a carico di minorenni, possa consentire, anzi imporre, il mancato contributo degli esperti dell’età evolutiva, arrecando un evidente vulnus all’imputato minorenne e all’intera giustizia minorile, caratterizzata generalmente da un’interazione forte tra il momento giuridico e il momento psicosociale, tra giudici togati e giudici onorari.
      La specializzazione del giudice minorile, cui si rifà la Suprema Corte al fine di giustificare la suddetta interpretazione della norma de qua, nulla ha a che vedere con l’interazione tra i due contributi, forniti dal giudice togato e da quello onorario. Il giudice rimettente si permette di ritenere, contrariamente alla Cassazione, che la specifica professionalità di cui sono, di per sé, autonomamente portatori tali giudici, non costituisca la specializzazione richiesta dal nostro ordinamento giuridico. Tale specializzazione deriva, invece, unicamente dalla collegialità mista, ossia dal loro “incontro”.
      Il legislatore ha realizzato un delicato bilanciamento tra giudici togati e giudici onorari, proprio al fine di proteggere e promuovere il superiore interesse del minore. L’incontro e l’ascolto del minore, l’osservazione della sua personalità, la disamina della sua anamnesi familiare e del contesto sociale di appartenenza, si ribadisce, costituiscono il proprium della professione di magistrato minorile specializzato, lo specifico ineludibile che giustifica la stessa esistenza del tribunale per i minorenni; mentre, lo specifico professionale individuato dalla Corte di Cassazione sembra non reggere ulteriormente alla luce di precise scelte a livello legislativo e, prima ancora, a livello politico e culturale.
      Aderendo al disapprovato orientamento giurisprudenziale che applica passivamente la norma impugnata, si avrebbe quale risultato irragionevole che la mera scelta processuale del P.M. prima (richiesta di giudizio immediato) e quella successiva dell’imputato (richiesta di giudizio abbreviato) vanificherebbero la valenza educativa del processo penale minorile e, principalmente, creerebbero una irragionevole situazione di disparità trattamentale tra imputati che hanno commesso illeciti penali, i quali verrebbero giudicati da un giudice monocratico o collegiale in virtù di una scelta di natura meramente strategica-processuale.
      Visti gli interessi in gioco e la tenera età dei soggetti processuali, è doveroso che il nostro ordinamento sia chiamato a farsi carico della rimozione di quelle impalcature giurisdizionali e processuali che si rivelano del tutto inidonee a tutelare compiutamente posizioni giuridiche peculiari, quali la tutela e la rieducazione di un minore entrato nel circolo penale.

P.Q.M.

visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87;

RITENUTA

rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 458 c.p.p. e dell’art. 1 comma I D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, nella parte in cui prevedono che, nel giudizio minorile, la composizione del Tribunale per i Minorenni in funzione di GIP sia quella monocratica e non quella collegiale.

SOSPENDE

il giudizio e dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, unitamente alla prova delle intervenute notificazioni e comunicazioni di Legge.

ORDINA

che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata alle parti del processo, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Bologna 11 novembre 2013

Il Giudice per le indagini preliminari
Giuseppe Spadaro